L’età feudale
Considerato che non si dispone di notizie certe circa l’origine di Felitto, le prime fonti che possono permettere di ricostruirne la storia risalgono a dopo l’anno Mille. È facile, comunque, pensare, che i primi insediamenti non si siano localizzati sulla rupe ma in aree più facilmente coltivabili, e che solo in seguito ad attacchi nemici e alla peste, si siano spostati sulla rupe. Il primo documento in cui compare il nome di Felitto, risale al 1191, e si tratta di un testo raccolto e trascritto da Lucido Di Stefano, attribuibile al papa Celestino III. Secondo Ebner, la prima citazione certa sul paese risale al 1248, ed è tratta da una lettera di papa Innocenzo III nella quale il pontefice chiedeva all’abate di S. Pietro di Eboli di assegnare un “feudo militare” a Giovanni di Felitto, al quale Federico II aveva confiscato tutti i beni.
Il riferimento a Felitto compare poi, tra il 1269 e il 1271, nei Registri della Cancelleria Angioina, e successivamente, in un elenco di terre alle quali furono imposte delle tasse per il pagamento delle milizie di Re Carlo. Di epoca Angioina, inoltre, sono alcuni altri occasionali riferimenti. È doveroso ricordare che a Felitto si accenna anche in relazione ad attribuzioni di terreni, ma non si hanno riscontri documentabili.
Tra la fine del trecento e l’inizio del quattrocento, Felitto divenne possesso dei Sanseverino, che ne influenzarono le sorti. Diverse e contrastanti le tesi che narrano delle modalità di appropriazione del paese. Si dice che da una relazione illegittima tra una donna di Felitto ed un signorotto di Felitto, sia nato Lionetto, che influì in maniera determinante sulla storia del feudo. Da lì a poco, Felitto passò in mano ai Carafa, che restarono in possesso della baronia di Felitto fino all’ottocento, quando furono emanate le leggi eversive sulla feudalità.
Le già poco floride condizioni sociali di Felitto peggiorarono in età spagnola: i sovrani, infatti, aumentarono le tasse per far fronte alle spese di guerra. Inoltre, le università (comunità costituite come soggetti giuridici, come era Felitto) furono costrette ad ospitare i soldati, con conseguenze di notevole disagio. A peggiorare la situazione sopraggiunse la peste del 1656, portata nella zona dai nobili in fuga da Napoli, dove la peste imperava con notevole violenza. La peste falcidiò gran parte della popolazione felittese, con conseguenze deleterie per il decremento demografico. La conseguenza più immediata fu l’abbandono di proprietà e casali da parte di molti.
Le condizioni del centro di Felitto, con difficoltà non di poco conto, videro un primo miglioramento durante gli ultimi anni del seicento. Da più parti venne l’arduo tentativo di porre un freno alla situazione che vedeva Felitto soccombere sotto un gran numero di ostacoli. Tra questi si annovera la carestia del 1764, che impoverì maggiormente la già poco fiorente Felitto.
Già durante il settecento, le condizioni del centro sembrarono fiorire, con l’arricchimento di non poche famiglie e l’ispessimento degli affari economici. Tant’è che alcune famiglie vantavano la presenza di medici o notai, a testimonianza della ricchezza raggiunta. La calma benestante di quegli anni fu bruscamente interrotta dagli eventi del 1799, che anche a Felitto portarono disordini, morti e una situazione disordinata che si protrasse per lunghi anni.
Il decennio francese
Con l’invasione francese, sotto Gioacchino Murat, in tutti i paesi fu piantato l’albero della libertà e dell’uguaglianza. Ma una volta caduto Murat, i realisti borbonici sostituirono ad esso la Croce. Cosi, anche a Felitto, dopo una solenne cerimonia religiosa, davanti alla porta orientale, venne innalzata una croce in pietra che vi rimase fino al 1814, quando, a causa di una forte alluvione, essendo divenuta instabile, venne trasportata nel luogo in cui si trova attualmente. Ma dell’originale rimangono solamente i tre scalini rotondi, perché la croce e la colonna in pietra che la sorreggeva vennero ricostruite in cemento e ferro. I pezzi rimasti furono seppelliti sotto il pavimento della chiesa del S. Rosario. Prima ancora che Murat facesse piantare l’albero della libertà e dell’uguaglianza, in Felitto, nei pressi della torre dei pagani, vi era un olmo, simbolo dello spirito di indipendenza che animava i felittesi, come ricorda lo storico Di Stefano (1780). Quando nel 1870 la porta e il muro di recinsione vennero abbattuti, venne piantato un nuovo olmo davanti alla Chiesa del S Rosario. Il cosiddetto periodo francese, che equivale agli anni tra il 1806 ed il 1815 fu, comunque, anche per Felitto, un periodo di riorganizzazione amministrativa, ma anche di grandi squilibri interni. Una piaga che contraddistingueva Felitto, ad esempio, era la scarsità d’acqua. La scomparsa della feudalità con la legge del 1806, non significò per Felitto e per i suoi abitanti la fine dei soprusi e delle angherie. La suddivisione delle terre e l’istituzione del catasto provocarono una serie infinita di contese e processi tra i cittadini e i discendenti dei principi che rivendicavano diritti sulle terre assegnate. Inoltre Felitto non fu estranea a movimenti cospiratori che si alimentarono in tutta Europa sia con il 1828 che con il 1848: diversi personaggi si misero in vista per aver partecipato ad episodi a metà tra il brigantaggio e la ribellione politica. Non furono pochi, inoltre, i personaggi scoperti, condannati alla morte oppure alla reclusione coatta. Anche in seguito all’unità del 1861, il fenomeno si inasprì anziché risolversi. Ciò si deve attribuire, com’è noto, alle condizioni di vita a cui era destinata buona parte della popolazione. Anche in questo caso, benché la storia di Felitto non riconosce particolari nomi, Felitto non ne fu immune. E tra le conseguenze più tragiche a questo fenomeno, ci fu, prima tra tutte, l’emigrazione di tanti figli di Felitto in America, ma anche in Europa, dove molti di loro riuscirono a far fortuna.
I casali
Felitto era circondato da tre Casali, non si sa se precedenti o posteriori a Felitto. Il Di Stefano afferma che ve n’era uno, chiamato Barbagiano, a circa un miglio dal centro abitato ed era sito verso settentrione. Il secondo esiste ancora oggi; il terzo, chiamato Pazzano, si trovava ad un mezzo miglio dal secondo. II primo e il terzo erano situati in collina, il secondo, invece, in zona quasi pianeggiante. Molto probabilmente tali Casali vennero abbandonati dagli abitanti in seguito al generale contagio delle epidemie di peste che si verificarono negli anni 1527, 1556, 1656.
Dell’esistenza dei Casali ne è prova il fatto che, ancora oggi, vengono ritrovate tombe disseminate un po’ ovunque. A più riprese Felitto subì un forte depauperamento di uomini e risorse a causa di calamità naturali.
Soprattutto la peste fu funesta per i felittesi, distruggendo intere famiglie. Nel 1595 il paese contava 61 fuochi, in un censimento del 1690 risultarono solamente 40, e solo nel 1781 se ne poterono di nuovo contare 60.
Inoltre, nel 1831 una violenta grandinata distrusse tutto il raccolto. Evento questo che, unitamente all’epidemia di colera dello stesso anno, ridusse Felitto alla miseria. Di quest’ultimo evento è conservata memoria in una lettera circolare inviata al parroco di Felitto dal Ministro Segretario di Stato di Grazia e Giustizia, in cui si raccomanda vivamente di vigilare sullo stato della salute pubblica. In una nuova infezione di colera nel 1837 morirono solo a Felitto un centinaio di persone. Nel 1851 si ebbe un’infezione di vaiolo. Nel 1857 una scossa di terremoto e una tremenda alluvione provocarono altri morti.
Nel 1884 riapparve il colera. Fortunatamente la scienza e l’esperienza avevano gin apprestato alcuni mezzi per combattere la malattia, per cui i medici dei grandi centri come dei piccoli paesi operarono senza sosta per debellare il terribile male. In tale occasione, rimase memorabile l’opera di un valente medico felittese, il dott. Berardino Di Dario, che in quell’anno spese il meglio delle sue energie umane e professionali per preservare il paese dalla terribile epidemia. Ne è testimonianza l’elogio funebre tenuto in occasione della sua morte, avvenuta il 6 dicembre del 1926, Mentre il dott. Di Dario era in vita, l’amministrazione comunale e il popolo volevano tributargli onori per la meritevole opera svolta, ma egli, profondamente umile, ebbe a dire: “Ho fatto il mio dovere di Ufficiale Sanitario e come cittadino felittese. Il mio posto non è dove si ride, ma dove si piange e si muore”.
Anche nel 1917, in piena guerra mondiale, la febbre spagnola fece altre vittime. A Felitto morirono oltre venti persone.