… Chiesa Madre, sbocciata per miracolo di arditezza architettonica su un avamposto di pietra con sagrato e porticato aperto ai venti e agli slarghi panoramici della valle con limiti sfumati all’orizzonte.
La chiesa dell’Assunta fu inizialmente dedicata a S. Maria Maggiore e dalle frammentarie testimonianze giunte fino a noi sappiamo che era costituita da due navate, una molta ampia che conteneva due cappelle e l’altra più piccola coperta da embrici. Stabilire esattamente quando sia stata edificata non è purtroppo possibile, di certo si sa che è anteriore ai primi del ‘300 perché nell’elenco degli enti religiosi che dovevano versare le decime alla Chiesa di Roma si fa riferimento alla chiesa arcipresbitale di Felitto.
Successivamente questa chiesa è citata in un documento, di fine ‘400, riferito alla cattedrale di Capaccio si fa riferimento a questa chiesa.
Nel 1546, Enrichetta Sanseverino dei duchi Somma, moglie di Geronimo Carafa, donò il luogo su cui stava costruendo la sua abitazione perché vi venisse edificata la chiesa parrocchiale. Non ci sono purtroppo informazioni certe circa il momento in cui venne consacrata. Di sicuro sappiamo che venne affidata all’arciprete don Nicola Migliacci e ad altri sacerdoti e che conservò le stesse suddivisioni della chiesa di S. Maria Maggiore fino al crollo del soffitto agli inizi del 1900 come testimoniano le relazioni redatte dai Vescovi in occasione delle visite pastorali. Ad esempio in quella del 1606 vengono elencati gli altari e il patronato vale a dire l’appartenenza degli stessi a determinate famiglie. In dettaglio erano così suddivisi l’altare di S. Antonio di Vienna della famiglia Imbarbaro, l’altare della Visitazione di Maria della famiglia Rizzo, l’altare di S. Nicola della famiglia de Stefano, l’altare del Corpo di Cristo della confraternita e l’altare dell’Assunzione della famiglia Dinolire. Nella relazione della visita pastorale del 1698 si descrive la struttura della chiesa costituita da una navata con soffitto ed un più piccola con embrici. Nella relazione della visita del 1860 invece in vescovo chiede alle autorità locali di demolire l’edificio per costruirne uno nuovo offrendosi di contribuire alla spesa.
Fin dalla sua consacrazione la chiesa dell’Assunta fu una ricettizia innumerata, una chiesa cioè che era gestita dal clero locale, solitamente appartenente alle famiglie più influenti. Ricettizia perché possedeva dei beni che garantivano un reddito ed innumerata perché non era stabilito il numero massimo di rappresentanti del clero che dovessero amministrarla. Tali erano le rendite possedute da questa chiesa nel Settecento che i rappresentanti raggiunsero il numero di 15. Nel secolo successivo le cose cambiarono perché la chiesa dell’Assunta da innumerata divenne numerata riducendo a 5 il numero dei componenti. E tanti rimasero fino alla fine del secolo quando morì Lorenzo Sabatella l’ultimo partecipante.
Oggi, a causa dei continui interventi di restauro a cui è stata sottoposta nel corso dei secoli dello stile architettonico originario è rimasto ben poco. Come nel restauro del 1928, reso necessario dal crollo del tetto, quando alcune delle cappelle patronali non vennero ripristinate o gli interventi resi necessari dai danni causati dal terremoto del 1980.
Una chiesa, quella dell’Assunta, che ha subito alterne vicende diventando luogo di sepoltura fino agli inizi dell’Ottocento quando con l’editto di Saint-Cloud furono istituiti i cimiteri al di fuori del centro abitato ma che per i Felittesi è sempre stata solamente il luogo di conforto della fede: la Chiesa Madre.
La chiesa si sviluppa per la lunghezza di m. 30 e per una larghezza di m. 10. A sud l’abside poligonale irregolare, incornicia tre nicchie, la centrale dedicata a Maria SS Assunta con alla sua destra la nicchia di S. Vito e alla sua sinistra quella di S. Ciriaco. Le tre statue sono tutte sapientemente scolpite nel legno e sembrano attribuibili alla scuola napoletana del ‘700. In particolare quella di San Ciriaco, di gran pregio per la grande naturalezza che traspare dall’espressione, è sicuramente anteriore al 1728, anno in cui venne restaurata.
In alto ci sono tre finestroni con i vetri bianchi e verdi, quest’ultimi disposti a forma di croce, che illuminano il presbiterio di m. 4,50 per m. 7,50 con al centro l’altare in calce. Ai lati, all’altezza del pavimento, ci sono tre lapidi due al lato sinistro ed una al lato destro che ricordano: Teodosio De Augustinis, Michele ed Alfonso Ivone.
Lungo la navata, sulla sinistra di chi entra, ci sono l’altare del Sacro Cuore, in stile gotico realizzato in calce; la porta di accesso al corridoio che conduce alla cripta; l’arcata che doveva contenere l’altare dell’Immacolata, che però non fu ripristinato nel restauro del 1928; l’altare di S. Lucia, sempre realizzato in calce ed infine il Cappellone interamente realizzato in calce che fino alla fine del 1800 è appartenuto alla famiglie Di Stefano e Migliacci, poi all’università ed infine alla parrocchia. Questa sembra essere l’unica parte dell’edificio che ha conservato lo stile gotico originario. Attualmente vi si trovano la nicchia dell’Addolorata con sotto il piano dell’altare la nicchia di Gesù morto.
Lungo la navata, al lato destro di chi entra, si trovano l’altare in marmo di S. Antonio; una piccola arcata, in corrispondenza dell’accesso al corridoio della cripta, che inizialmente era un’antica entrata laterale della chiesa; una terza arcata vuota perché non venne ripristinato l’altare votivo originario ed infine l’altare in calce di San Giuseppe con la statua lignea scolpita nel 1733 di gran pregio per l’espressività che la caratterizza.
Per accedere alla chiesa si passa dall’atrio esterno realizzato a terrazzo con quattro arcate di stile diverso che permettono di ammirare gran parte del territorio circostante. Su una delle arcate è possibile notare alcuni frammenti dello stemma di Enrichetta Sanseverino, che venne dipinto al momento della costruzione e rimase integro fino al 1773.
Il campanile, alto circa quaranta metri, conserva una bellissima scalinata a chiocciola formata da gradini in pietra bianca lavorata. Ed è proprio l’aspetto architettonico del campanile che tradisce l’iniziale destinazione a palazzo gentilizio dell’edificio.