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La leggenda della Torre

La leggenda della Torre
La filastrocca della Torre recita così

‘Mpere ‘u paiese miu
– ‘n ‘g’ è ‘na torre,
longobarda o normanna cche nne saccio.
‘N ‘ge yamo a pazzia ra
zurieddi, a chera vecchia torr
re lo paiese miu.
Mo ‘ so ‘ restate
quatto caucirogne,
‘nu muro scapezzato,
e ‘na jecania. Uarda la vadde sulu nu pirtusu
cù nu finucchiu
e ddoie rose salovateche.

Molto probabilmente si riferisce proprio alla torre dell’antica leggenda dell’assedio che Felitto subì durante la congiura di Capaccio a causa dell’alleanza tra il barone di Felitto e i signori di Fasanella.
Si tratto di un alleanza che portò più danni che benefici e che portò Felitto sull’orlo della distruzione, fortunatamente però il Barone di Felitto seppe risolvere al meglio il momento più critico. Erano ormai mesi che l’esercito di Federico II aveva posto l’assedio sotto le mura fortificate e la guardia felittese continuava a respingere i tentativi di penetrare all’interno della cinta muraria
che rappresentava per i felittesi la migliore forma di protezione, ma che a lungo andare sarebbe potuta diventare un tomba.
Il problema delle provviste non riguardava solo l’esercito assediante che nella sua marcia trionfale aveva distrutto tutto ciò che aveva trovato sul suo cammino, ma anche i felittesi le cui scorte andavano ogni giorno sempre più assottigliandosi.
Cominciò così un periodo molto difficile per i felittesi è vero le mura fortificate li proteggevano impedendo ai nemici di entrare nel paese e fare strage radendo al suolo tutto come già stava accadendo e Fasanella, però c’era anche il contrario della medaglia e cioè i felittesi non potevano più coltivare i campi o allevare gli animali e i viveri prudentemente accantonati stavano diventando sempre più esigue.
La situazione non era migliore per l’esercito assediante che aveva da tempo razionato i viveri e che si sentiva scoraggiato per tutti i tentativi di penetrare fino a quel momento tentati e miseramente falliti.
La situazione era in stallo e la prospettiva non era incoraggiante per nessuno dei due fronti. A questo punto il barone felittese ebbe un intuizione che appariva folle per la sua genialità e che sembrava essere l’ultima possibilità.
Dopo l’ultimo tentativo per trovare una soluzione pacifica dell’assedio, risolto con l’ennesimo rifiuto questa volta ricevuto dall’imperatore Federico II in persona, il piano del barone venne attuato.
Il barone fece raccogliere tutti i viveri lasciando alla popolazione solo il necessario per pochi giorni e li fece trasportare dai cittadini alla porta occidentale presidiata dalle guardie.
Nell’arco di una giornata ai piedi della Torre furono accantonate ceste colme di “panelle” di pane fatte con la farina di mais, castagne, e ghiande; forme di formaggio di capra; fiaschi d’olio e vino, insaccati di vari tipi e tanto altro ancora.
A sera inoltrata il barone si affacciò dagli spalti della porta occidentale cominciò a parlare agli assedianti spiegando che da parte sua non c’era nessun rancore nei loro confronti e che la sua alleanza con i Signori di Fasanella era stata stipulata in un momento che non faceva presagire niente di tutto ciò ma ormai la sua parola era stata data e non poteva tirarsi indietro quindi lui avrebbe continuato a resistere ma non avrebbe permesso a loro soldati che compivano solo il proprio dovere di morire di fame quindi fece calare dai soldati le ceste colme di cibarie.
I soldati di Federico II rimasero interdetti e gabbati dall’inganno del Barone tolsero il campo e fecero ritorno alle loro case senza guardarsi indietro.

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